Arrivare a San Marino dalla parte occidentale dell’Appennino Toscano non è mai facile. O meglio: è lineare perché è tutta autostrada, ma a Bologna devi tornare indietro e quei 150 chilometri che separano la Serenissima dal capoluogo toscano in linea d’aria diventano 240 e poi allo svincolo dell’A14 c’è sempre casino e ci vogliono tre ore per varcare il confine.
Già, il confine.
Fa sempre effetto, almeno a chi scrive, varcare il confine e andare all’estero, laddove parlano la nostra stessa lingua, usano la nostra stessa moneta, tifano le nostre stesse squadre calcistiche (un Malato di Geografia è di San Marino e tifa Milan, che non è la stessa squadra per cui tifa chi scrive, ma rende l’idea), leggono i nostri stessi giornali, ma sono stranieri, almeno per noi, e noi lo siamo quando passiamo il confine settentrionale della Repubblica di San Marino e passiamo da Dogana. Siamo stranieri perché nonostante tutte queste cose in comune, arrivati di là dobbiamo stare alle regole di un Paese che non è l’Italia, a partire dal fatto che lì hanno i gendarmi e non i poliziotti o i carabinieri.
È anche uno dei motivi per i quali esiste questo sito, peraltro.
Questa vicinanza, relativa, ma pur sempre vicinanza, ci permette, se vogliamo, di espatriare e vedere la Nations League e le qualificazioni a Mondiali ed Europei di calcio, sapendo che San Marino in casa gioca sempre a Serravalle. Semplice.
È per questo che un mese fa siamo partiti per andare a vedere San Marino-Moldavia e raccontarvi cosa abbiamo visto. Abbiamo già parlato della Brigata Mai 1 Gioia e di come si fa a “tifare Titano”.
Adesso parliamo della partita e di quello che abbiamo vissuto.
Quello che a San Marino è locale, è nazionale. Almeno questa è la sensazione che abbiamo vissuto al San Marino Stadium: una grande festa dove tutti si conoscono.
Chiunque arrivasse nella zona dove eravamo seduti noi, si salutava affettuosamente e si conosceva.
Solo che era una partita organizzata dalla Uefa, e come tale aveva con tutti i crismi dell’ufficialità: inno, squadra arbitrale del livello adeguato, la sicurezza, la mixed zone, la sala stampa, gli addetti stampa, i divieti sulle foto da fare in campo. Roba seria, come è giusto che fosse.
Seria è stata anche la partita. Anche questa senza il gol della squadra del Titano – troppo fiacchi gli attaccanti di Varrella – ma poteva finire anche senza gol dei moldavi, ché quello al 75’ è sembrato più un gol trovato in mischia in area che qualcosa di ben costruito.
È vero che la partita l’hanno fatta il moldavi – seguiti da poco meno di un centinaio di connazionali venuti dal Veneto, che è la regione con più moldavi in Italia – e che Koșelev nel primo tempo è stato molto più a guardare i compagni che giocavano dall’altra parte del campo, ma è anche vero che quella di San Marino è una nazionale fatta di giocatori che non giocano mai, e forse è proprio questo l’handicap, ed è proprio questo quello a cui Varrella deve far fronte maggiormente.
Prendiamo Nicola Nanni. L’attaccante sammarinese ha 18 anni ed è tesserato per il Crotone, nella serie B italiana. Secondo il suo ruolino di marcia su diretta.it, dall’inizio della stagione 2018/2019 a quando questo articolo è stato scritto (17 dicembre 2018), l’attaccante ha giocato 270 minuti, tutti con la sua nazionale, ovvero tre partite intere, una a distanza di un mese dall’altra (RSM U21-Rep. Ceca U21 il 5 settembre; RSM U21-Croazia U21 il 15 ottobre; RMS-Moldavia il 15 novembre). Nella sua squadra di club è una sfilza di “non convocato” e “in panchina” con nessun minuto giocato, il che equivale a dire nessun minuto di esperienza.
Lungi da questo sito voler creare polemiche sull’impiego dei giocatori nelle rispettive squadre di club, ma una delle prime cose che si impara seguendo il calcio è che un ragazzo, per crescere, ha bisogno di giocare. Poi, più i calciatori giocano insieme, più sono collaudati squadra e meccanismi di gioco, che è l’auspicio che Varella fa nell’intervista che ci ha rilasciato a fine partita, dove traspare il rammarico per un gruppo di giocatori che non hanno mai l’occasione di giocare insieme, né di preparare una partita in tempi consoni al lavoro che ne dovrebbe venire fuori.
Gli hanno chiesto: “Vuoi fare anche tu ‘Malati di Geografia’?”, e non ha avuto esitazioni.
Inoltre, da bambino organizzava fantomatici mondiali di calcio dove partecipavano le nazionali di Tonga e Isole Marshall, imparandone i colori delle rispettive bandiere.